12/02/2014 - PITTIN ALESSANDRO: Quelle lacrime che bagnano il legno.
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SOCHI 2014 - 12 febbraio

Redazionale di Carlo Brena

Ecco, questo è il genere di interviste che non vorresti mai fare. Perché la gara l’ho vissuta con te, dall’inizio alla fine. Tu forse non lo sai, ma io ero lì con te, sugli spalti in mezzo ad una folla di russi, dal volo dal trampolino alla prova di fondo. Alessandro Pittin adesso sei qui davanti a me, in mix-zone. Sei appena arrivato quarto nella prova di combinata nordica. Mi immagino già i titoli: Medaglia di legno, Ai piedi del podio, Restiamo all’asciutto. Ma tu sei qui davanti a me, e in quello sguardo da bambino che hai c’è il dramma ancora fumante di una sconfitta che brucia. Mi hai fatto sognare, con quel distacco, alla partenza di poco meno di una quarantina di secondi dal podio. La rimonta che avanza: al primo giro sei nel gruppo compatto, al secondo sei davanti che tiri, al terzo ti stacchi con altri due. “Pista dura. Le salite sono corte ma molto ripide” mi racconti. Dai Ale, dai. “I primi due in fuga non li prendiamo più, quindi vado col mio ritmo”. Ottimo ale, via così. Vuoi vedere che rifacciamo il miracolo di Vancouver. Dai Ale, dai. Tu non lo sai, ma io sono lì che spingo con te. Sei passato qui sotto le tribune e ti massaggi le gambe: no, oggi non puoi avere crampi e dolori. Io non li ho, e tu non li hai. Andiamo Ale, si va a podio. “Quando è scattato il norvegese ha fatto il buco, e ho faticato a riprenderlo”. Ok Ale, è normale, altre volte è già successo. Siamo in tre: io, te e un norvegese. Nell’ultima discesa verso lo stadio ti ripeti “Il quarto posto no, il quarto posto no!”. Quando entriamo nell’arena del Ruski Center il norge è davanti, io e te siamo dietro. Là in cima un tedesco e un giapponese si dividono due gradini del podio. Il terzo è nostro Ale. Andiamo. Si è vero, non ne abbiamo più, ma anche il norvegese è cotto come noi. Dovremo lottare fino alla fine. Una curva a destra, una a sinistra, e il traguardo è lì davanti a noi. Lo scandinavo è alto e grosso e non ci fa passare all’interno: “Ha fatto bene, avrei fatto così anch’io” mi dici dopo, ma noi ci proviamo nel rettilineo finale. Una, due, tre spinte, e la rimonta dal 25esimo posto a questo podio accarezzato ci presenta il conto. Cinque metri davanti a noi dalla schiena del norvegese si alzano due braccia come due leve di una gru. Tu ti pieghi sulle gambe dure come il legno. Dopo la linea rossa cadiamo a terra con la faccia vicino agli sci. Un pugno picchiato a terra e una, due, tre lacrime si sciolgono nella neve. Quarto posto nella gara più bella della tua stagione. “Qualcuno deve pur arrivare quarto” e ridi, ma gli occhi restano lucidi, e solo tu li puoi asciugare. E comunque grazie: mi hai fatto fare la gara più bella della mia stagione.

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