11/01/2014 - FRANZ SILVANO .... CI HA LASCIATI.
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Moggio Udinese - 7 gennaio 2014

E' mancato in questi giorni Silvano Franz n. 31/07/1941 all'età di 72 anni.

Ha vestito la maglia dell' ALDO MORO PALUZZA per alcunu tempi negli anni '60 conquistando anche un titolo Italiano di corsa in Montagna nel 1964.

 

Lo vogliamo ricordare riproponendo la sua intervista rilasciata nel 2006 e pubblicata nel libro celebrativo dei 60 anni di Fondazione dell'Aldo Moro edito proprio nell'anno 2006.

Mandi Silvano!!

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….una brevissima carriera incorniciata da un bellissimo titolo italiano di Corsa in Montagna.

 

- Incontriamo Silvano a casa sua a Moggio Udinese, attorniato da fotografie ed articoli di giornali di tanti anni fa. Che ricordi ti vengono in mente?

 

+Sono nato in una frazione del Comune di Moggio, non raggiungibile con mezzi di trasporto e tuttora non collegata da strada alcuna, sicché per andare a Moggio, dovevo percorrere a piedi 14 km al giorno. Ho fatto un calcolo: da giovane facevo 450 km al mese a piedi e di questi, molti con la neve. A differenza del mio compaesano Gino Pugnetti, che ai tempi in cui abbiamo corso con la “Aldo Moro”, viveva a Campiolo, io abitavo dietro il monte Amariana, ad una quota di 500 mt. s.l.m., in una zona molto isolata. Ho cominciato con il ciclismo, poi l’ho abbandonato perché avevo fatto brutte cadute e mi sono detto: “Questo non è il mio mestiere, meglio tornare con i camosci in montagna”. Da allora ho cominciato a correre ed ho sfondato nel mondo della corsa nel periodo in cui ho fatto il militare. A quell’epoca, primi anni ’60, in una gara nazionale sono arrivato quinto. Appena finita la “Naia”, mi sono iscritto alla “Aldo Moro”, agli inizi del 1964. Quell’anno ero molto allenato e grazie al mio fisico mingherlino, ho iniziato a vincere tutte le gare qui in Friuli. Assieme a Gaetano Di Centa (Tane), Marino Maier (Stine) e Enzo Maieron (Stagn), abbiamo sbancato tutte le gare. Sempre quell’anno ho stabilito il record da Collina al rifugio Volaia nella “Tre Rifugi” e questa è stata la gara che più mi ha appassionato perché io, amante dei terreni rocciosi, mi sentivo molto a mio agio. Sono partito a Collina in testa ed ero già in solitaria al rifugio Tolazzi. Mentre correvo, guardavo il panorama ed ero affascinato dalle rocce. Ho corso senza punti di riferimento e sono arrivato in cima da solo, in 33’15”. Se avessi avuto qualcuno con cui combattere, avrei fatto sicuramente molto meglio già a quei tempi. Questa è stata la gara più bella!

A settembre dello stesso anno c’erano i Campionati Italiani a Saiano (BS) ed io mi son detto: ”Ci vado, ma prima vado a Genova da mio padre per allenarmi in pista, in vista della gara, assieme a De Florentis”. Costui faceva i 10.000mt intorno ai 30 minuti e quindi era un compagno validissimo. Questa cosa l’ho fatto all’insaputa della ”Aldo Moro”! Mi sono presentato a Saiano assieme a tutti gli altri e la gara è stata una sorpresa anche per me, perché non me l’aspettavo proprio di vincere e non ero certo il favorito. Devo dire che ho avuto anche un po’ di fortuna. In gara c’erano dei grossi campioni come Volpi e Lavelli; Volpi, al terzo giro, è crollato, perché al mattino aveva fatto un’altra gara e voleva fare, diciamo, “il furbo”; così io mi sono trovato in testa da solo. Lavelli invece, mi raggiunse sul piano nel finale e riuscii a mantenere il suo ritmo proprio perchè avevo fatto una buona preparazione. L’ultimo giro ho pensato: “Bisogna tirare alla disperazione perché non mi capiterà più un’occasione come questa per vincere”, e, con questa convinzione, ho vinto per 7 secondi.

Poi andai a lavorare lontano da casa in uno stabilimento di nome “Sdigna”. Da lì in poi non riuscii più a vincere perché facevamo i turni di notti in centrale termica ed era un grosso limite per chi faceva sport. In fabbrica mi hanno detto: ”O lavori o corri” e io ho detto “Mantengo il lavoro e gareggio fino a quando la Sdigna mi tiene”. Così ho fatto per tre anni e mi sono sganciato nel 1967, dicendomi: ”Voglio tornare nelle mie montagne perché qui è una vita da matti; torno nelle mie montagne perchè è quella la mia vita”. Così, in definitiva, ho corso per la ”Aldo Moro” solo nell’anno 1964.

 

-Lasciare lo sport per il lavoro, è stata una scelta di cui ti sei pentito?

 

+No, diciamo che ai tempi è stato quasi un obbligo. Rimane il fatto che io sono ancora molto legato alla “Aldo Moro” e mi sento un “Paluzzano e un Carnico doc”, perché vado poco d’accordo con quelli del Canal del Ferro.

 

-Delle gare che hai fatto qui in zona, ricordi qualcuna in modo particolare?

 

+Ho un bel ricordo della competizione di Pontebba, sempre del 1964. Io avevo una forma incredibile. Era una gara in pattuglia e si correva in tre tutti assieme: eravamo io, Stine e Stagn. Loro non mi stavano proprio dietro ed io dovevo aspettarli continuamente, così mi raffreddavo. Quel giorno, come rendimento fisico, ero ancor meglio della gara dei “Tre Rifugi”. Ricordo che mi sono gelato per aspettare i compagni e sono ritornato indietro per quasi 1km per finire la gara assieme.

 

-Il clima di gruppo che c’era al di fuori della gare, era bello?

 

+Sì, a Paluzza si era veramente uniti. Sia in gara che fuori gara si stava veramente bene e si rideva parecchio.

 

-Anche tu, come tutti gli atleti, avevi un soprannome?

 

+Sì, il mio soprannome, fin da bambino, è stato “Curino”. Ha origine dal fatto che, quando da bambino ero ammalato a letto con la febbre, dal balcone della cameretta di casa, vedevo i tori che giravano intorno ed io, dalla paura, chiamavo il mio gatto che si chiamava ”Curino”. Da quella volta, hanno cominciato a chiamarmi con quel nome. Ricordo che, quando ero ammalato,  veniva da me una signora a farmi bere l’acqua santa. Questa è sicuramente una particolarità dei tempi al mio paese.

 

-La tua attività sportiva quanto è durata?

 

+Io, praticamente, ho troncato la mia vita di atleta quando mi sono sposato, nel 1967. Ricordo l’ultima gara prima del matrimonio; sono andato a Novara a fare un cross e mi sono classificato tredicesimo: lì ho finito la carriera, poi ho continuato a correre saltuariamente, ma senza preparazione. Diciamo che poi ho gareggiato alla buona.

 

-Nel 1974 a Paluzza però eri ancora in gara…..

 

+Sì, qualche rientro l’ho fatto, ma senza grande impegno e di conseguenza i risultati non erano proprio eccellenti.

 

-Ci puoi raccontare qualche aneddoto che ti è capitato durante quel periodo?

 

+Al ritorno dal Campionato Italiano di  Saiano, siamo andati a festeggiare proprio a Paluzza e poi a Moggio ed io avevo addosso la maglia tricolore. A Paluzza tutti sapevano chi ero e che cosa avevo vinto perché c’erano tantissimi appassionati di questo sport e della “Aldo Moro”, mentre a Moggio, nessuno sapeva chi ero e che cosa avevo fatto. Quando sono arrivato nella piazza principale del mio paese la gente si chiedeva che cosa facessi con quella maglia tricolore addosso. Sapevano solo che uno del loro paese andava forte nella corsa, ma non sapevano nè chi fosse nè che cosa fosse la corsa in montagna, per loro era uno sport sconosciuto.

 

-Pensi che gli atleti che corrono in montagna siano un po’ particolari: per dirla tutta, un po’ matti?

 

+A dire la verità sì, ed è così ancor oggi. Chi corre a piedi per le montagne, pratica uno sport in solitaria e forse per questo è considerato “matto”. Forse anche perché si fa tanta fatica e la gente comune che non è abituata, dice: ”Chi te lo fa fare, sei matto!”. Invece non è vero, perché la corsa rafforza tremendamente il fisico. In particolare i giovani, fosse per me, li farei correre dai cinque anni in su. Correre è uno sport che ti affina anche la mente e non solo il fisico. Certo, si devono fare dei sacrifici che sono poi ripagati in salute e vita sana.

 

-Un saluto finale a questa società sportiva?

 

+Io ringrazio la ”Aldo Moro” per quello che mi ha dato. Ringrazio “Tane” e levo il capello a tutta la “Aldo Moro” perché, io, se non ci fosse stata, il Titolo Italiano non l’avrei mai vinto. Una buona parte del merito è proprio della ”Aldo Moro”. Approfitto anche per salutare i miei grandi amici: Tane, Stine e Stagn.

Franz Silvano